La vispa Theresa nel Regno disunito

Theresa
Con l’esito del Referendum che ha visto la maggioranza risicata degli inglesi votare per l’uscita dall’Unione Europea, credevamo di essere di fronte ad una svolta epocale che avrebbe segnato i mesi successivi; purtroppo di scempiaggine in scempiaggine gli eventi elettorali e referendari seguiti in altri Paesi, di qua e di là della Manica e/o dell’Atlantico ci lasciano un ricordo sfuocato di quell’inizio estate nel quale molti di noi hanno visto la fine di un sogno a lungo cullato nelle cancellerie europee, e che oggi si sta delineando come una farsa nella quale la volenterosa e tenace Theresa May cerca di svolgere decorosamente un compito che appare, ogni giorno di più, pieno di difficoltà.
La vispa Theresa nel Regno disunito
Ricevuto l’incarico di portare il Paese fuori dalle acque tempestose nelle quali l’esito referendario l’ha gettato, dopo che tutti i baldi giovanotti che avevano lanciato la sfida si erano prudentemente defilati, la Lady non ancora di ferro ha goduto di un relativo periodo di tranquillità nel quale il crollo della sterlina ha illuso sul fatto che l’aumento del Pil fosse un’onda lunga da poter cavalcare per tutta la durata dei negoziati con la Commissione europea per definire quella che ormai da mesi tutti definiamo la “Brexit”.
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A lungo è sembrato che Theresa May potesse scegliere le modalità più congeniali per il suo Paese nell’affrontare il passo decisivo ed in certi punti, volutamente ignara di fare i conti senza l’oste, ha dato l’impressione di voler giocare pesante nell’imporre condizioni vantaggiose al costo più basso; naturalmente per lei. Le avvisaglie che l’Europa non sarebbe restata immobile ad attendere le decisioni del Regno Unito senza opporre resistenza c’erano già state, ma la diplomazia europea ha mantenuto un profilo volutamente basso nell’attesa che venisse fatto il passo formale della richiesta di attivazione dell’art. 50 del Trattato di Lisbona, dopodiché ha dettato le sue condizioni ed ha presentato un conto talmente salato da far vacillare buona parte delle sicurezze dei sudditi di Sua Maestà su di un’uscita indolore.
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Mentre ogni giorno che passa presenta nuovi dubbi sul futuro di un Regno Unito fuori completamente dall’Europa, aumenta la necessità per il Primo Ministro di una forte investitura popolare nel seguire un percorso che potrebbe rivelarsi non così radioso come sbandierato dai suoi poco illustri predecessori prima del fatidico 23 giugno, ed è così che ha pensato, non senza una qualche dose di furbizia, di approfittare dei sondaggi che continuano a dare il suo partito largamente in vantaggio sugli avversari politici, per riscuotere un dividendo politico che sarà assai utile nel momento in cui dovranno essere assunte decisioni difficili.
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Il problema è che nell’attuale situazione la May non avrebbe il sostegno sufficiente a poter portare il Paese a nuove elezioni politiche e potrà farlo solo in quanto il leader dei Laburisti, Jeremy Corbyn, con una mossa che possiamo definire del tutto sconsiderata, ha acconsentito concedendo un passaggio elettorale che per il malconcio Labour britannico appare l’inizio di una lunga, anzi lunghissima traversata nel deserto. Chissà, forse Corbyn deve aver pensato che dovendo competere con i numerosi disastri delle sinistre europee, tanto valeva cercare di far peggio di tutti gli altri per essere ricordato almeno per questo, visti gli inesistenti successi.
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I sondaggi, come detto le danno pienamente ragione, ma avrà una qualche difficoltà a giustificare questo suo decisionismo nei confronti degli scozzesi i quali dopo l’esito del referendum di giugno si erano affrettati a chiedere la ripetizione di quello con il quale nel marzo del 2015 avevano deciso di rimanere nel Regno Unito, dando per scontato che quest’ultimo sarebbe rimasto in Europa, e che ora non vedono l’ora di manifestare il loro dissenso massiccio verso la Brexit; era stata la stessa May a dichiarare che in una fase così delicata non sarebbe stato il caso di introdurre un nuovo elemento di confusione: quindi, elezioni politiche si e referendum no? Con quale faccia tosta questa posizione potrà essere ragionevolmente sostenuta nei prossimi giorni non lo sappiamo ma non v’è dubbio che la politica inglese abbia saputo meravigliarci più volte negli ultimi mesi: l’azzardo di Cameron, i voltafaccia di Johnson, le menzogne di Farage e, buon ultimo, Corbyn con il suo decidere di non prendere posizione allora (quando sarebbe stato opportuno farlo) per poi prenderne una del tutto suicida oggi.
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In questa pletora di mezze figure e personaggetti d’avanspettacolo di infimo ordine, speriamo che Nicola Sturgeon, determinata e combattiva primo ministro scozzese, trovi nelle pieghe della Common Law un cavillo che le consenta di abbinare alle prossime elezioni politiche anche un nuovo Referendum che renda giustizia della beffa subita dal suo popolo il quale, se solo lontanamente avesse avuto modo di prevedere ciò che stava per accadere, mai e poi mai avrebbe votato per restare sotto le ali materne della Regina Elisabetta alla quale va dato atto di aver mantenuto un profilo basso in un periodo in cui, messo in discussione il Regno, probabilmente anche la sua corona è destinata a vacillare.
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